Riceveremo mai una comunicazione da una forma di vita extraterrestre? Nel dubbio, è bene prepararsi. A questo scopo risponde il progetto “A Sign in Space” creato da una task force di centri di ricerca: l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e gli americani Seti Institute e Green Bank Observatory. L’idea è stata quella di “simulare” un messaggio venuto dallo spazio per capire se abbiamo già gli strumenti e le capacità di riceverlo e decodificarlo. Per creare questo messaggio ci sono voluti due anni di lavoro da parte di un gruppo interdisciplinare composto da artisti e scienziati, guidato dall’artista Daniela de Paulis. Poi ci ha pensato il satellite dell’Esa ExoMars Trace Gas Orbiter, in orbita attorno a Marte, a lanciarlo verso la Terra la sera del 24 maggio. A riceverlo, 16 minuti e 9 secondi dopo, tre potenti radiotelescopi, uno a Medicina (circa trenta chilometri da Bologna) e due negli Stati Uniti.
Il messaggio è arrivato a destinazione con successo. Le tecnologie hanno funzionato alla perfezione e il segnale radio è stato ricevuto dalle tre stazioni spaziali. Ma questa era solo una parte della simulazione di comunicazione aliena. Subito dopo, è partita la gara alla decodifica che è aperta a tutti. Decine di migliaia di appassionati e studiosi, provenienti da tutto il mondo, stanno provando a decifrarne il contenuto. Un contenuto che potrebbe essere interpretato in modo errato per diversità culturali o valoriali. Qui sta il cuore del progetto e del lungo lavoro del gruppo guidato da Daniela De Paulis: capire i processi intellettuali che vengono scatenati da cervelli cresciuti con tradizioni e sensibilità differenti. Perché, se davvero dovessimo comunicare con gli alieni, sicuramente queste differenze ci saranno.
L’obiettivo di “A Sign in Space” era dunque quello di testare le tecnologie utilizzate dal Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence, Ricerca di Intelligenza Extraterrestre), un progetto che da decenni sta lavorando per la ricerca di forme di vita extraterrestre: «Ricevendo un segnale “reale”, simuleremo perfettamente tutta la procedura, come se ricevessimo un segnale artificiale proveniente da una civiltà intelligente, dall’acquisizione del dato alla condivisione delle informazioni con la comunità Seti – ha spiegato Germano Bianchi, esperto della stazione spaziale di Medicina - È un’opportunità unica. Da un punto di vista tecnologico siamo maturi per questa operazione. L’unica differenza è che sapremo quando e dove il segnale arriverà sulla Terra. In uno scenario reale, una stazione raccoglierebbe il messaggio e lo segnalerebbe a tutti gli altri radiotelescopi posizionati a favore della fonte. Questi osserverebbero il fenomeno in istanti diversi, confermando eventualmente la prima rilevazione».