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Sviluppo tecnologico e innovazione

Il diritto d’autore e il paradosso di Topolino

25 Marzo 2024
Federico Cella, Michela Rovelli

Come si usa dire, a volte anche non sbagliando, una volta era tutto più semplice. In barba alla semplificazione effettiva portata in molti campi dal digitale, resta un settore dove la fluidità e libertà regalate dai nuovi strumenti e piattaforme non ha portato a regole e comportamenti più chiari. Anzi. Parliamo del diritto d’autore, tornato di cronaca con la recente formalizzazione della causa da parte del New York Times a Open AI, l’azienda dietro a ChatGPT, e a Microsoft, principale finanziatore del progetto: l’editore americano sostiene che milioni di articoli pubblicati dal Times siano stati utilizzati per addestrare software che ora competono con la testata giornalistica come fonte di informazione affidabile. Le proprietà intellettuali generate da giornalisti umani vengono utilizzate e rielaborate dalla macchina come contenuto alternativo a quello originale. Dunque un uso indiscriminato di materiale protetto, e in più – come si sottolinea nelle pagine depositate in tribunale - il potenziale danno al brand a causa delle cosiddette “allucinazioni” che fanno affermare ai chabot informazioni false attribuite poi ai giornali. Ma se qui è fondamentale capire come il giudizio su questa causa avrà probabili conseguenze “storiche” sulla circolazione dei contenuti in Rete, da un’altra parte il 2024 ha portato un altro casus belli miliare nella definizione di ciò che è lecito far veicolare online e cosa invece no perché protetto da copyright. Parliamo nientemeno che di Topolino.

Con il primo gennaio del nuovo anno, il topo più ricco del Pianeta, o meglio la sua prima versione così come appariva nel cortometraggio Steamboat Willie, negli Stati Uniti è diventata d’utilizzo comune, cioè di pubblico dominio. La Rete ha atteso di capire meglio le regole sui diritti d’utilizzo d’immagine prima di riversare online migliaia di copie, parodie e rivisitazioni del personaggio? Certamente no. L’esplosione di piattaforme di pubblicazione e di strumenti di creazione digitale ha portato a ogni tipologia di versione di quel Mickey Mouse fischiettante alla guida di un battellino a vapore. E alla Disney l’hanno presa bene? Non proprio: a inizio dell’anno sono partite dalla casa madre una serie di richieste di blocco o rimozione di contenuti su diverse piattaforme, in particolare Youtube. Il corto Steamboat Willie veniva caricato, riprodotto, rilavorato, personalizzato e diffuso un po’ ovunque, e in alcuni mercati – quello europeo in particolare – questo ha portato a blocchi effettivi dei contenuti. Perché, se il copyright è decaduto? È qui che la questione si fa interessante. Vediamola per punti.

  • Il copyright è su quel Topolino, chiamiamolo 1.0, ed è solo su quello che la Rete è libera di sfogare la propria creatività. Non su altre versioni.
  • I creator del Web hanno un campo di utilizzo molto limitato, non devono “monetizzare” con questa arte né creare alcunché possa passare come marketing o addirittura essere confuso con un prodotto Disney. E fin qui è tutto chiaro.
  • Meno chiaro se ragioniamo in termini di validità della legge sul diritto d’autore: se negli Stati Uniti i termini sono abbastanza chiari (sono quelli sopra), leggi di altri Paesi possono essere differenti. La legislazione europea in materia è molto più restrittiva.
  • Partendo da qui, diventa fondamentale valutare il metodo di filtro utilizzato dalle grandi piattaforme. Che superato un periodo “liberale”, ora hanno politiche feroci che spesso vanno a colpire anche dove non sarebbe necessario. E con poche spiegazioni. Ma soprattutto adottando politiche di censura che vanno oltre le richieste legislative, dato che mettersi a norma in un Paese può non essere sufficiente per un altro.
  • Il paradosso di Topolino, libero-non libero, è anche più forte della causa intentata dal New York Times nel risollevare il tema annoso del diritto d’autore in Rete. Con regole chiaramente superate dal sempre più rapido cambiamento degli strumenti di creazione e di diffusione dei contenuti in digitale. Perché da un lato nelle grandi retate di blocchi automatici sulle piattaforme social cadono anche molti contenuti che invece avrebbero diritto a esistere, mentre dall’altro enormi masse di contenuti d’autore vengono invece utilizzate liberamente perché al contrario non sono sufficientemente protette dalle leggi attuali.